La squalifica di 18 mesi rifilata al noto tennista sta turbando tutto il mondo dello sport. Le polemiche, anche in questo caso, non mancano
L’ombra del doping continua ad aleggiare sul mondo dello sport e a stroncare di fatto la carriera di atleti esperti o emergenti, con situazioni tutte da chiarire.
Nel tennis, però, la situazione è ancora più complicata, perché non la fanno da padrone i test o il rischio di assunzione involontaria, piuttosto il tema della reperibilità dei giocatori. È proprio da lì, a quanto pare, che nasce il caso di Jenson Brooksby. Il 23enne nato a Sacramento negli Stati Uniti nel 2000 ha avuto a che fare con diversi infortuni che hanno limitato la sua carriera e, dopo aver conquistato diversi titoli (soprattutto minori), è arrivato a piazzarsi alla 33esima posizione del ranking Atp.
Ora, però, se la decisione non dovesse cambiare, dovrà fermarsi per altri 18 mesi, questa volta di squalifica. Per il regolamento, gli atleti non possono saltare tre controlli antidoping in dodici mesi, a costo di subire proprio questa pena. È proprio il caso di Brooksby, ma anche di Mikael Ymer che ha deciso di ritirarsi a soli 25 anni per protesta rispetto allo stop forzato che l’ha riguardato. E ricordiamo che il nostro Fabio Fognini è fermo a due stop e dovrà stare molto attento a non incorrere nel terzo caso.
Non solo Brooksby, l’ITIA ora ha un grosso problema
L’International Tennis Integrity Agency (ITIA) è di fronte a un grosso problema, quindi. Nella storia non ci sono stati così tanti casi di squalifica di questo tipo, anzi non ce ne sono stati proprio, se non un’indagine poi terminata in un nulla di fatto.
Non si tratta di sostanze proibite o assunzioni sospette, ma di mancanza di reperibilità. Nel caso di Brooksby, il diretto interessato ha subito fatto chiarezza sul suo profilo Instagram, dicendo che era nella stanza d’albergo prevista per le ore stabilite, cioè tra le 6 e le 7. La camera era prenotata a nome del suo fisioterapista e lui ha cambiato il nome al check-in.
Si è detto, però, disponibile al controllo e precisando di non aver nulla da nascondere. Resta, però, il fatto che il DCO (Doping Controller Officer) arrivato all’albergo non poteva sapere dove alloggiasse il tennista e l’ha contattato quattro minuti prima della fine della finestra oraria, alle 6.56. Insomma, il caso resta spinoso e ora Brooksby potrà ricorrere al Tas di Losanna, sperando di aver ragione.